Da una performance ideata da Valerio de Filippis per strappare il proprio stato emotivo dalla panìa dell’indifferenza esistenziale, il gruppo artistico Casal de’ Pazzi ne ha tratto un’installazione vivente su tema dell’annullamento della volontà creativa e sull’appiattimento della coscienza di sé dell’uomo comune contemporaneo. La performance (FUROR MORENDI) e l’installazione (BIANCO BORGHESE) sono state organizzate presso il centro espositivo Passover.
TIPOLOGIA: Performance
DATE: 15 Luglio 2010
LUOGO: Passover (ROMA)
PATROCINI: Regione Lazio, Comune di Roma
CURATORI: Cecilia Paolini, Hary Daqua
ARTISTI: Sergio Angeli, Blokulla, Valerio de Filippis, Valerio Savaiano, Emanuele Omega Gorga, Fabio Chiapparelli
Nell’ultimo decennio della sua trentennale attività, Valerio de Filippis ha condotto una ricerca, iconografica e stilistica, riguardante il significato ultimo dell’esistenza umana. L’incessante studio delle diverse percezioni e condizioni d’animo ha portato a una sorta di sindrome da assuefazione emozionale. Per far proprie le condizioni esistenziali delle diverse tipologie umane, l’artista ha in qualche modo perso la capacità di vivere le proprie percezioni, fino al punto di non provare più stimoli emotivi. In questo limbo spirituale, vivere o morire sembra essere una soltanto una condizione contingente, poiché ogni avvenimento, positivo o doloroso che sia, viene vissuto da Valerio de Filippis con la totale assenza di emotività, con una non intenzionale negazione dei sentimenti data dall’abitudine.
La performance, dunque, si sviluppa secondo una logica rovesciata: l’intendimento è di agire sullo stato emotivo dell’artista attraverso una sorta di sfida apotropaica della morte. Lo svolgimento è molto semplice: in uno spazio circoscritto, l’artista, davanti al pubblico che assiste, affigge l’avviso della propria morte datata il giorno dopo l’evento dopo essersi tagliato con una lametta il volto. L’affissione avviene in modo solenne con il chiaro intento di sfidare il destino, imprevedibile e beffardo, per ritrovare quella tensione esistenziale così fondamentale per dipingere; in altre parole, l’atto di superbia nell’atteggiamento sprezzante verso la morte ha lo scopo di riattivare nell’animo dell’artista la pulsione verso la vita e verso la morte, ciò che Sigmund Freud sinteticamente spiegava come Eros e Thanathos (“Al di là del principio di piacere” – Jenseits des Lustprinzips).
La morte, quindi, annunciata artificialmente in una sorta di invocazione laica, viene istigata tramite un atteggiamento esistenziale tipico dell’uomo che sfida gli dei: il peccato di ubris, che si palesa attraverso la mancanza di timore per la possibile punizione del fato, innesca il meccanismo psicologico contrario per cui l’artista torna di nuovo a temere la morte. Il superamento della paura istintiva della propria morte, funge da scorticatoio morale per l’animo dell’artista, che, per contrapposizione, ritrova il senso della propria emotività. Questa azione, che conserverebbe la sua necessità logica anche se avvenisse in privato, si svolge in uno spazio aperto al pubblico per la volontà di utilizzare la presenza degli astanti come una sorta di attestazione di ufficialità, una cassa di risonanza per quel sentimento di ubris che si va trasformando in un rinnovato quanto umano timore per la morte e coscienza della propria vita.
Più che per la superstizione popolare secondo cui il nominare la propria morte è foriero di cattivo destino, il pubblico avverte empaticamente lo stato morale dell’artista poiché, nonostante possa non condividere l’assuefazione emotiva provata da Valerio de Filippis, è stimolato al superamento della condizione mentale della “profezia che si autoavvera”, l’autosuggestione condizionante per cui chiunque malvolentieri annuncerebbe la propria morte, tra l’altro in modo così solenne e spettacolare, per paura che, per una buffa coincidenza del destino o per potere autosuggestionante, appunto, tale annuncio possa trasformarsi in fatto concreto. La ratio di ferirsi all’inizio dell’azione ha un duplice significato: da un lato stempera la superbia del gesto di sfida attraverso un atto di umiliazione fisica, una sorta di atto sacrificale che garantisca all’artista di non essere annichilito dal rinnovato timore della morte; dall’altro segna l’atto semioforo della rinascita, spirituale e artistica; è il rituale di passaggio verso una vita artistica altra, purificata attraverso il sangue che scorre via e che in qualche modo esorcizza l’ipotetica venuta della morte.
Da questo volontario scorticamento morale dovuto a un sostanziale svuotamento esistenziale, il gruppo “Casal de’ Pazzi” ha tratto ispirazione portando la tematica in una dimensione non più personale, ma sociale, verso una riflessione sull’annullamento della volontà creativa e sull’appiattimento della coscienza di sé dell’uomo comune contemporaneo. Sergio Angeli, Valerio Savaiano ed Emanuele Omega Gorga hanno dunque creato un’installazione vivente composta da un salottino con i simboli della tipica famiglia medio-borghese (televisore, Corriere dello Sport sul tavolo, cagnolino di media taglia…) tutto dipinto di bianco dove due attori discorrono mentre fanno zapping da un canale all’altro della Tv. L’azione di Valerio de Filippis si svolge accanto a questa installazione. La colonna sonora della serata inaugurale, anche questa composta per tale progetto, porta la firma di Blokulla.