TIPOLOGIA: Mostra personale
INAUGURAZIONE: sabato 18 giugno 2022
DATE: 18 giugno > 23 settembre ‘22
ARTISTA: Bruno Melappioni
TESTI DI: Carlotta Monteverde
UFFICIO STAMPA: Federica Fabrizi e Vania Lai
Orari: lun. / ven. 16:00 – 19:00; sab. 17.00 – 19.00; dom. chiuso
Telefono: 06.96115866
E-mail: gap@artgap.it
Facebook: ART GAP
Instagram: art_gap_gallery
Dal 18 giugno al 23 settembre 2022 la galleria Art GAP, a due passi da Largo di Torre Argentina, è lieta di accogliere la personale “Retroritratti” di Bruno Melappioni. La mostra verrà inaugurata sabato 18 giugno alle ore 18:00.
31 corpi, 31 storie; una sequenza di dettagli – sguardi, mani, pieghe della carne, indumenti fatti scivolare delicatamente per svelare centimetri di pelle – dà vita a una mostra intima e silenziosa, che racconta di eros, introspezione e magia. Nei Retroritratti presentati da Art G.A.P. Bruno Melappioni fonde immagine e scrittura per narrare il rapporto tra artista e modella/o e la tensione esistente dietro la pittura.
L’esposizione parte dal dipinto numero zero, un olio su tela datato 2002. Nato su commissione ormai tanti anni orsono, non ha avuto seguito fino al 2019, quando il lavoro vero e proprio ha preso il via. Si procede, quindi, con le nuove opere, realizzate nell’ultimo triennio: sulle pareti della sala di ingresso sfilano le prime cinque figure, le cui vicende si intrecciano nella finzione delle novelle che le accompagnano. Si scende infine nell’ampio spazio inferiore per conoscere avventure e segreti di tutti gli altri personaggi, in un continuo mix di fantasia, realtà, ammiccamenti, e pudore.
Ritrattista e pittore di nudo, Bruno Melappioni gioca con entrambi i generi. A cosa serve fermare il volto e il busto di un uomo o una donna se non per affermarne lo status, il prestigio, il carattere, o i moti interiori? Ma se a comparire sulla tela sono solo nuche, capelli, e – più di rado – profili accennati, si può ancora parlare di ritratto? Lo stesso vale per il corpo. Braccia, mani, spalle. Poco ancora. In questo continuo vedo-non vedo le terga divengono metafora della superficie bianca su cui l’artista inscrive le proprie ossessioni; dell’atto generatore dell’artefice. E – nelle parole dell’autore – della messa al mondo di sé: la schiena, spiega Bruno, è la parte di noi che non si conosce. E raffigurarla aiuta a scoprire il proprio lato oscuro, il non vissuto. Come scultore di persone, mi interessa portarle a comprendere chi sono.
Ad essere rappresentati/e: amici, amiche, frequentatori dello studio; modelle professioniste, ma ancora della cerchia di conoscenze. Nessuno/a interpretando un ruolo, piuttosto mettendo in gioco spontaneamente la singolare confidenza col fisico, la nudità, lo sguardo dell’altro. D’altronde, per Melappioni, chi si trova a posare, è sempre protagonista, non oggetto. Musa. E la rassegna corale che ne risulta, un concentrato di intimità e tensioni, nel rapporto con sé, in quello del pittore col soggetto. L’eros permea ogni centimetro, viene riversato sulla tela, è il mezzo senza il quale non esisterebbe creazione.
L’erotismo è il filo conduttore anche di gran parte dei racconti; non traspare solo dalle immagini. Ispirati a fatti realmente accaduti, o di pura fantasia, questi hanno la funzione di ricordare come dietro ogni effigie ci sia comunque una storia. E sono movimentati da colpi di scena, sorprese, affermando quanta magia sia riscontrabile in ogni esperienza. Brevi, taglienti, essenziali, equivalgono a schizzi, a dipinti veloci, intuizioni visive. L’autore da molti anni accompagna la pratica artistica con la scrittura – novelle e poesie (licenziose) soprattutto – ma è la prima volta che in una mostra entrambe le modalità espressive vengono accoppiate, nel catalogo e sulle pareti della galleria.
Scultore, maestro poliedrico e prolifico, Bruno Melappioni ha cominciato come pittore, eleggendo il corpo muliebre a contenuto prediletto, cercando subito di uscire dai cliché di bellezza tradizionalmente intesa. Dedicatosi, da fine anni ’80, interamente alle forme tridimensionali fatte in filo di ferro, ha continuato a usare i pennelli per riprodurre opere del passato. Un procedimento meticoloso, laborioso, che si è portato dietro nei lavori su commissione (ritratti, principalmente), gli unici usciti dallo studio fino ad oggi. A tre decenni di distanza un nuovo corpus ad olio prende vita: i Retroritratti riassumono mezzo secolo di ricerca e recano con sé una evoluzione tecnica, concettuale, e stilistica, che non ha precedenti. Procedendo nell’esposizione, quadro dopo quadro, i contorni sembrano liquefarsi, i tratti sintetizzarsi, i verdi acidi dei fondi materializzarsi; sacro e profano fondersi; grazia, ritrosia, sfrontatezza, confondersi. [testo di Carlotta Monteverde].